Con l'arrivo dell'estate, abbiamo deciso di mettere in promozione il romanzo
Anime in trappola di
Samantha Fumagalli.
L'ebook sarà disponibile a € 1,99 al posto di € 3,99 😉
E, sempre come
omaggio, abbiamo pensato di
regalare la
lettura del
secondo capitolo.
Buona lettura e felice estate!
🌞
Capitolo 2
Milano, 13 dicembre 2012
Fausto fumava in silenzio, ignaro di ciò che il destino aveva in serbo
per lui. Davanti alla vetrina del Babel Pub, giocava a inseguire con lo
sguardo i contorni indistinti del ponte che univa le due sponde del
Naviglio. Quella notte il freddo era pungente e la nebbia avvolgeva la
città quasi a volerla isolare dal resto del mondo.
Si sentiva
felice. Molte volte avrebbe ripensato a quel momento, smanioso di
ritrovare inalterata quella felicità e cancellare gli avvenimenti che di
lì a pochi giorni avrebbero impresso ferite profonde nella sua anima.
Ma nessun uomo può tornare indietro per mutare il corso degli eventi e
ognuno deve imparare a convivere con le proprie cicatrici.
Si passò
la mano tra i folti capelli neri e respirò a fondo l’aria satura di
umidità. Gli piaceva quell’odore, che penetrava nelle narici sottile e
prepotente al tempo stesso. Gli piaceva la nebbia. In quell’ammasso di
microscopiche gocce d'acqua, percepiva qualcosa che trascendeva il mero
fenomeno atmosferico. Il velo che offusca la visibilità, per lui, celava
l’insidioso potere di ottenebrare la mente, di far perdere la bussola.
Bastava un niente per essere adescati dalla sua natura effimera, e una
volta passati oltre il velo c’era il rischio di non tornare più
indietro.
In quell’istante, la nebbia si diradò e Fausto,
accarezzandosi il pizzetto, mise a fuoco i contorni della ringhiera di
ferro che accompagnava l’arco del ponte. Poi, di nuovo bianco. Prima il
mondo, e subito dopo il nulla. Ne era stregato. La nebbia era
l’indefinito oltre il quale spingersi per scoprire. Giocare con essa era
come giocare con l’illusione dell’infinito. In quello strano sentimento
si nascondeva una parte inalienabile della sua natura, la stessa che lo
aveva spinto a studiare filosofia e che anni addietro lo aveva condotto
sui sentieri dell’esoterismo, facendolo entrare in un gruppo di
studiosi di ermetismo e alchimia.
Ma quella non era una notte da
dedicare ai grandi misteri esistenziali. Era felice, e gli bastava.
Sorrise tra sé, spense la sigaretta nel posacenere di marmo bianco, che
montava di guardia a lato dell’ingresso, e rientrò.
Le note di
Hotel California aleggiavano ancora nell’aria, mentre Luca stringeva la
mano ai clienti del pub che si complimentavano con lui prima di avviarsi
all’uscita. L’orologio segnava le due e nel locale erano rimasti
soltanto quattro ragazzi davanti ai loro bicchieri di whisky quasi
vuoti. Luca era sicuro che non avrebbero tardato ad andarsene e gettò
uno sguardo d’intesa a Fausto, che ricambiò con un lieve cenno del capo.
Dopo poco, nella penombra della sala, i quattro ragazzi si alzarono,
infilarono i giubbotti e si diressero alla cassa. Soltanto allora,
Fausto raggiunse l’amico.
«Bella serata, - disse - eri in gran forma».
«Già, - replicò Luca, accarezzando la chitarra prima di riporla nella
custodia - la bambina si è comportata bene. Come sempre, d’altronde. So
che non mi tradirà mai. È una compagna fantastica, si accontenta del
ruolo di spalla, anche se è lei la vera protagonista».
Il musicista augurò la buona notte al suo fedele strumento e abbassò il coperchio.
«Anche tu hai cantato un paio di pezzi niente male, Fausto, - disse poi, alzando lo sguardo - dovresti farlo più spesso».
«Sei tu il professionista, per me è soltanto un gioco, lo sai».
«Che c’entra? Cantanti, musicisti… si inizia sempre per gioco. Poi la musa ti strega e non puoi più farne a meno».
«Be’, allora diciamo che la musa non deve apprezzare granché la mia
voce, perché ti garantisco che non ha mai tentato di sedurmi».
Luca sollevò le spalle: «Liberissimo di continuare a seppellire morti, se preferisci» e la sua voce era velata di sarcasmo.
«Sarà meglio darsi una mossa, fra poche ore dobbiamo partire» tagliò corto Fausto.
«Avremo tempo per riposare quando saremo a Brunico, ora lasciami
scaricare l’adrenalina con un bicchierino». Pose un braccio sopra le
spalle dell’amico e lo condusse al bancone del bar.
«Jacky, due cognac» ordinò.
Giacomo, che tutti si ostinavano a chiamare Jacky, era il proprietario
del Babel, un rinomato locale sul Naviglio Grande milanese, che
nell’arco di un ventennio aveva fatto da trampolino di lancio a molti
artisti. Aveva il viso triangolare, il naso affilato e gli occhi furbi, a
colpo d’occhio ricordava una volpe, e il suo indiscutibile fiuto negli
affari ne ricalcava il carattere.
Il barista guardò Luca con sguardo sornione.
«Sei andato alla grande, Luca. I clienti erano entusiasti» disse,
appoggiando sul bancone tre bicchieri a stelo corto e dalla coppa molto
ampia, poi si girò e scelse una bottiglia dal ripiano alle sue spalle.
«Questa sera voglio rovinarmi, Grande Réserve, il cognac migliore,
invecchiato in botti di rovere. Sentite che profumo». E versò due dita
di liquore nei bicchieri.
«Non penserai di liquidarmi con un cognac invecchiato, vero? È dalla volta scorsa che dobbiamo ridiscutere il compenso».
«Sono tempi duri, mio caro. Ma tu dovresti goderti di più la vita. Hai
visto la biondina con il maglione azzurro come ti fissava? Mi ha chiesto
se vieni qui spesso, ero tentato di darle il tuo numero».
«Lascia perdere, Jacky, non voglio casini».
«Smettila di fare il prezioso, col tuo lavoro potresti averne una nuova ogni settimana».
«Non me ne frega un accidenti. Dopo Susanna, è meglio che mi prenda una
pausa di riflessione. Altro che cambiarne una alla settimana!».
«Dai, Jacky, non stuzzicarlo. Luca è l’ultimo dei romantici. Non puoi
chiedergli di tradire la sua indole» intervenne Fausto. Conosceva bene
l’amico ed era al corrente dei retroscena della sua storia d’amore
andata a rotoli. Dopo cinque anni di convivenza apparentemente
idilliaca, Susanna aveva iniziato a dare segni di insofferenza. Si
lamentava di non poter costruire una famiglia con un uomo che coltivava
ancora sogni da adolescente e conservava un lavoro tanto instabile. Luca
aveva pensato a una crisi passeggera e non le aveva dato troppo peso,
finché un pomeriggio dell’estate appena passata Susanna aveva posto un
aut-aut: o lei o la musica. Mossa avventata. Oppure accuratamente
studiata, pensava Fausto, perché a Luca si poteva chiedere di tutto,
tranne di rinunciare al suo sogno. E infatti il musicista le aveva
risposto di andare all’inferno. Susanna aveva preso la palla al balzo e,
senza farselo ripetere due volte, si era trasferita non si sa bene
dove.
Fausto aveva ancora nitida nella mente l’immagine dell’amico
che, la sera stessa del litigio, dopo aver quasi vuotato una bottiglia
di whisky, gli confessava i suoi sospetti: c’era sicuramente un altro e
Susanna aveva inscenato quella farsa per uscire dalla sua vita a testa
alta. Non era tanto per il tradimento, certe cose capitano, ma non
riusciva a farsi una ragione che, dopo cinque anni, lei lo considerasse
un tale scemo da scaricare con un giochetto simile. C’era poco da dire,
era andata così e amen. L’unica cosa che valeva la pena, ormai, era
rimettere insieme quel che restava e guardare oltre. Era chiaro come il
sole che non avrebbe più rivangato l’accaduto. E Fausto aveva quasi
sempre rispettato la sua decisione.
Il musicista stava facendo
ondeggiare il cognac, fissando il bicchiere con uno sguardo a metà tra
il vacuo e il pensieroso, poi si voltò in direzione del suo difensore:
«Fai bene a darmi supporto, tu, che in quanto a paranoie sentimentali
potresti persino farmi da maestro».
«Cosa c’entro io, adesso?».
«Non fare il finto tonto, caro il mio filosofo. Hai capito benissimo. A proposito, come sta?»
«Chi?» dribblò l’altro, cercando goffamente di sviare il discorso.
«Viviana, la tua bella strega, chi altri…».
«Ecco, vedi che succede a fidarsi di uno che si dichiara dalla tua
parte. Devo aver bevuto troppo quella sera, e mi sono lasciato andare a
confidenze che sarebbe stato meglio tenere per me».
«Non chiuderti a
riccio come al solito, so bene che non era la voce dell’alcool a
parlare. Ho visto come la guardi. E non ci sarebbe niente di male se…».
«… se non si trattasse della mia migliore amica» completò Fausto.
«Non volevo dire questo».
«E cosa volevi dire, allora?».
«Che non ci sarebbe niente di male in quello che provi, se soltanto la
smettessi di barricarti dietro un muro di dubbi e timori».
«Può darsi, ma non ho voglia di parlarne, almeno finché non riterrò che sia giunto il momento. E questo non lo è di certo!».
Jacky aveva ascoltato in silenzio lo scambio di battute tra i due,
l’aria era troppo elettrica per i suoi gusti, a volersi intromettere
c’era il rischio di prendere la scossa. Senza farsi notare, fece
scivolare sul bancone la busta con i soldi per Luca, poi guardò la sala,
si gettò uno strofinaccio sulla spalla e sgattaiolò fuori dal bar per
ripulire gli ultimi tavoli. Aveva congedato la cameriera all’una ed era
rimasto solo per la chiusura. Meglio darsi da fare.
«Come preferisci» disse Luca a bassa voce, con un’alzata di spalle.
Fausto non sopportava di sentir tirare in ballo quel discorso, era una
zona d’ombra nella sua vita, o meglio nella sua testa. Sì, soprattutto
nella testa, dove c’erano un mucchio di tesi e di controtesi, tante a
favore e altrettante contrarie, e il gioco terminava sempre in stallo.
Aveva un bel dire Luca, ma chi doveva fare i conti con se stesso era
lui, e a lui i conti non tornavano. Molto semplice. E comunque, erano
soltanto fatti suoi. Preferiva lasciar perdere? Sì, decisamente.
Luca svuotò il bicchiere e lo depose sul bancone: «Sarà meglio andare».
Afferrò la busta, la stropicciò nella mano senza neanche guardare il
contenuto e la mise nella tasca dei jeans, poi prese lo strumento e
cercò l’oste nel buio della sala.
«’Notte Jacky!» disse, girando sui
tacchi e alzando una mano in segno di saluto. Poi s’incamminò fuori dal
locale, lungo il Naviglio, fumando una sigaretta.
Fausto, le mani
in tasca e il bavero alzato, lo seguiva in silenzio a un passo di
distanza, immerso in strani pensieri. C’era qualcosa nell’aria che non
andava, aveva tentato in ogni modo di non prendere sul serio le
provocazioni di Luca, ma lui non aveva perso occasione per pungolarlo.
Non era da loro un comportamento del genere. Di solito, c’era più
complicità e meno competizione. Era infastidito. Una lattina vuota di
birra gli si parò d’innanzi sul marciapiede, quasi si fosse messa di
proposito sul suo cammino. La calciò stizzito e la lattina volò a
colpire il parafango di un furgone parcheggiato poco più avanti. Lo
strepito prodotto dall’impatto delle due lamiere fece scattare Luca come
una molla.
«Ma che cazzo hai, stanotte?» sibilò il musicista.
Ecco, appunto. Fausto scrollò le spalle.
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