Sapete perché voglio spendere ancora
due parole su questo blog anche se mi ero ripromesso di non scrivere
più dato che i blog sono morti? (sì, fatevene una ragione, i blog
sono morti, quindi è probabile che lo siate anche voi che state
leggendo, ma non importa...)
Perché voglio scrivere una cosa sui
levrieri.
Sì, è vero, di solito sono più
esotico, mandrilli, emù, giaguarondi...
Ma oggi no, oggi levrieri. E
dimenticatevi quelle top-model degli afgani, sto parlando dei
levrieri più poveri, quelli senza gioielli. Anche senza pelliccia.
Magri senza scampo perché non c'è niente che li copra. Pelo raso
sulle costole così a vista che gliele puoi contare.
Tempo fa, quando ancora si poteva
uscire, e anche senza cane, ne ho visti due per la strada.
Faceva freddo e loro tremavano. Stavano
vicini l'uno all'altro, tanto che quasi si camminavano addosso, e io
ho pensato che perfino così, uno di fianco all'altro, sarebbero
riusciti a nascondersi dietro a un lampione. Piatti come due sogliole
messe in verticale, con quella curva del torace che finisce nel
vitino sottile. Certo, sono aerodinamici, ti dici.
Fatti per correre.
L'uomo lo sa bene che sono fatti per
correre, anche troppo bene, tant'è che ci specula sopra da sempre, e
adesso non ho voglia di dirvi a cosa è arrivato per guadagnarci su,
voglio pensare solo al lieto fine che a volte li aspetta e che deve
aver riscattato anche quei due che avevano freddo. Sono certo che a
casa li aspettasse un cappottino per ciascuno che si erano solo
dimenticati di mettere, ingannati dal sole.
Ma tutto questo ha portato la mia mente
a divagare (sì, divaga spesso... ), a pensare al rapporto che lega
l'uomo al cane, rapporto cambiato, evoluto, stravolto.
I nostri cani al guinzaglio, quelli che
vengono al bar con noi, sono i figli che non crescono mai, sono i
bambini per sempre e come bambini li trattiamo, ma non è a quelli,
con tutta la simpatia, che le mie divagazioni sono approdate.
Io pensavo al cane che lavora, il cane
operaio.
Il pastore, ad esempio. Intendo dire
quello che si guadagna vitto e alloggio tenendo a bada greggi di
pecore, non quello che del pastore c'ha solo la pettinatura e vive
nel salotto di casa.
L'avete mai visto il pastore correre
letteralmente sulle groppe delle pecore per raggiungere più in
fretta quella che si è staccata del gruppo o che rischia di cadere
giù dalla scogliera? (siamo in Cornovaglia Martin?... no, c'abbiamo
i dirupi anche in Sardegna, per dire...)
Quello che conosce i nomi di tutte a
memoria (?) e le conta - perché sa contare come un ragioniere –
ogni sera senza perderne di vista una.
Quello che ha l'occhio sveglio
e lo sguardo sapiente di chi ce la sa, per genetica e per esperienza.
Quello che gli basta un fischio e ti mette le pecore in fila per due,
o per quattro, dipende dai tratturi (?!), e se potesse parlare
direbbe “ok capo” all'umano che fischia e che crede di essere il
suo capo per davvero mentre è solo un suo collega approfittatore.
Insomma, il cane che lavora e si
guadagna da vivere...
A volte si guadagna una vita dura,
fatta di pecore, di pelo bagnato, di gelo o di sole che spacca, ma
ricca di ruvido orgoglio canino, come moneta di scambio.
E allora, se proprio mi ci fermo su a
pensare, a questi cani che lavorano a fianco degli umani e vivono
della loro approvazione, mi chiedo se loro lo sanno, di essere
diversi dagli altri.
Diversi dai levrieri con o senza
cappottino, ad esempio.
Perché un pastore alla fine frequenta
solo altri pastori. Che ne sa che si può passare la vita a fare
niente sul divano?
E mi chiedo se farebbero mai a
cambio...
Ma credo di no.
Mi piace pensare che si annoierebbero a
morte.