Fermate il libro, voglio scendere!

Ovvero, quando leggere fa venire il mal di mare.

Per quanto abbia in programma altre divagazioni sul Tempo (ci sono anche mirabolanti storie che si svolgono nel futuro… ), oggi mi scappa di parlarvi dei “tempi”, cioè i tempi verbali, che detto così suona come la minaccia di una lezione di grammatica, ma in realtà è la solita scusa per NON dare consigli e  condividere con voi il materiale divertente che mi passa per le mani. 
A volte, spinto dall’ardore narrativo,  l’autore scrive di getto, talmente preso dalla storia che ha in testa, da non preoccuparsi se i tempi concordano, perché l’importante è fermare la scena sulla pagina e arrivare in fondo.
Be’ ecco, in questi casi anche il lettore ci arriva in fondo, ma ci arriva come appena sceso da un catamarano.
In quale tempo conviene scrivere un romanzo? Nel modo più facile, viene da dire. Il più delle volte chi scrive non sta neppure a chiederselo, così come chi legge, spesso, non ci fa caso,  ma il modo più facile è il passato, e per avere una conferma basta prendere dalla libreria un campione di libri pescando tra autori diversi.  Io l’ho fatto, e  li ho beccati tutti al passato remoto, da Dumas alla Vargas, da Sciascia a Baricco, e Hemingway  come Bulgakov.  Conformisti?  Può darsi, ma la lettura fila via liscia. Insomma, si può scrivere anche al presente, sia chiaro, ma per farlo bisogna avere la testa in modalità  sceneggiatura, mentre il modo  più spontaneo è seguire la voce che racconta, quella  che ha lasciato tracce e suggestioni in tutti noi dall’origine,  a partire dal  “c’era una volta”.
Stabilito però che il tempo è quello, ho trovato spesso slanci ideativi  capaci di imprimere alla storia delle curiose  “curvature” temporali. 

Pag. 20:  Quella mattina Gilberto si svegliò alle sette e quindici, spostò le coperte, mise i piedi a terra, infilò i piedi in un paio di comodi zoccoli dalla suola anatomica, si alzò stiracchiandosi, si diresse verso il bagno, accese la luce…  Pag. 40 … girò a lungo il cucchiaino nella tazzina, portò il caffè alla bocca sorseggiandolo adagio mentre fuori cominciava a schiarire … Pag. 60 … scelse una  camicia azzurra dopo averla tolta dalla gruccia dell’armadio, se la infilò abbottonandola con cura… Pag. 80 … estrasse le chiavi dalla tasca, guardò a destra e a sinistra e raggiunse l ’auto parcheggiata sull’altro lato della strada. Stava cominciando a piovere e pensò di prendere l’ombrello che aveva nel bagagliaio per averlo a portata di mano al momento di scendere. Quando sollevò il portellone posteriore resta paralizzato nel vedere un piede che fuoriesce da un grosso sacco nero della spazzatura (e tu, lettore, che hai dormito fino a pag. 80 e devi avere anche sognato un paio di volte, ti svegli di colpo, perché quel presente è come una secchiata d’acqua in faccia, ma soprattutto perché pensi che un cadavere nel bagagliaio stia per dare una svolta alla vita di Gilberto). Sente il sangue gelarsi nelle vene e all’improvviso ricordò che quel sacco condominiale la sera prima non c’era perché è sicuro di aver aperto il bagagliaio per controllare di avere le catene da neve che saranno obbligatorie dal 15 novembre al 15 aprile. Qualcuno deve avercelo messo durante la notte, pensò. Si guarda in giro furtivo per accertarsi che nessuno l’aveva visto, e poi chiuse di colpo il portellone come se nulla sia successo. Si disferà del maledetto sacco condominiale sulla tangenziale ovest, pensò. Al ritorno, col buio, sarebbe più facile, ma è meglio farlo al più presto,  non vuole lasciarlo in macchina tutto il giorno col rischio di dimenticarsene.  Salì in macchina, inserì la marcia, guarda nello specchietto retrovisore e partì.
quando leggere fa venire il mal di mare
Quando leggere fa venire il mal di mare...
Certo, con un buon editing tutto si aggiusta, anche l’impareggiabile compostezza di Gilberto di fronte agli imprevisti, ma capite che chi si infila per primo nella lettura del prodotto ancora grezzo, per affrontare i capitoli successivi avrà bisogno di una xamamina.
Sarebbe bastato rileggere per riallineare queste anomalie temporali?  Io credo che lo sconosciuto autore abbia riletto, e magari anche più volte, ma qualcosa gli abbia impedito di notare le stonature. Ormai  mi sono convinto che al di là dell’ardore creativo, qualcuno non riesce proprio a coglierle e va avanti, così come fa a volte lo stonato che continua a cantare inconsapevole e felice.
Poi ci sono gli altri.

All’angolo della via il Riccetto vede un gruppo di persone e piano piano ci si accosta. In mezzo al gruppo di persone e ombrelli lucidi, era aperto un ombrello molto più grande, nero, con sopra tre carte. Le mescolava un napoletano e la gente puntava. Il Riccetto se ne rimase lì a guardare il gioco, poi si accostò…

E allora? Non è neanche divertente, direte voi.
Eccerto. Questo è Pasolini.

Alla prossima,
Martin Weasel 

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