Cari amici lettori e scrittori, aspiranti e sostenitori,
umani e conigli,
col fermo proposito di non volere insegnare niente a
nessuno, da oggi prende il via la rubrica di intrattenimento attraverso la
quale vi segnaleremo alcune perle raccolte nella pratica della nostra attività.
Con una serie di piccoli esempi narrativi, adattati per l’occasione ma
rigorosamente autentici per forma e contenuto, condivideremo con voi esperienze
di lettura che si sono rivelate gustose sorprese.
Fuori da un ordine preciso, ma guidati dall’estro del
momento, faremo accenno a vari argomenti senza mai affrontarli sul serio, senza
fornire dritte o consigli ma solo qualche considerazione, lasciandovi liberi di
gustarvi gli espedienti narrativi e trarne le conclusioni che vorrete.
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"Conosco ciò di cui scrivo?" |
Oggi, per cominciare, nella nostra piccola galleria degli
errori, parleremo del tempo. Anzi, del Tempo, con la maiuscola, a fugare subito
l’idea delle mezze stagioni scomparse.
Il Tempo è così affascinante che poterlo manipolare almeno
con la fantasia è una soddisfazione e una sfida. In narrativa il tempo si piega
alla volontà dell’autore che a volte lo maneggia senza nemmeno rendersene
conto, dilatandolo, contraendolo, cancellandolo, trascinando con sé il lettore
indietro negli anni, o al contrario proiettandolo nel futuro.
Nella vita quotidiana il tempo è prezioso, il tempo non va sprecato,
bisogna saperlo usare.
E in narrativa? È lo stesso.
Infatti, ecco una perla, ambientata a Montegrufaldo di Pellecchia, anno 1327…
Turibio, appena fuori dalla locanda, si sfilò di dosso il
ruvido mantello e cominciò ad agitare i pugni, invitando Galdino a farsi sotto.
“Ma che ti prende, non farai sul serio?” chiese Galdino preoccupato.
“Questa cosa va sistemata!” rispose Turibio, che accecato dalla gelosia, non riusciva più a vedere l’amico nell’uomo che aveva di fronte, ma solo un rivale pericoloso. L’aveva appena visto guardare Pulcheria con occhio lascivo, mentre lei, china sul loro tavolo mesceva il vino nei boccali.
“Ne abbiamo già parlato…” provò a dire Galdino arretrando.
Ma Turibio, ormai fuori controllo, neanche lo lasciò finire: in un lampo gli fu addosso e con un pugno, che aveva grande quanto un maglio, gli sferrò un colpo in piena faccia facendolo volare a terra. Alla vista dell’amico riverso sul rivolo di scolo, di colpo la rabbia venne meno e Turibio tornò in sè.
“Mio Dio, che ho fatto?” esclamò con le mani nei capelli “Galdino, amico mio, perdona questo mentecatto… non so che mi abbia preso, non ero io quello che in preda a un furore cieco ti ha messo le mani addosso…”
Galdino grugnì qualcosa e sputando sangue si mise seduto, mentre Turibio, vedendo la sua faccia tumefatta, si accorse che aveva un ché di storto. “Amico mio, credo di averti rotto il naso. Vieni, ti porto a casa, bisogna metterci subito del ghiaccio… ”
“Ma che ti prende, non farai sul serio?” chiese Galdino preoccupato.
“Questa cosa va sistemata!” rispose Turibio, che accecato dalla gelosia, non riusciva più a vedere l’amico nell’uomo che aveva di fronte, ma solo un rivale pericoloso. L’aveva appena visto guardare Pulcheria con occhio lascivo, mentre lei, china sul loro tavolo mesceva il vino nei boccali.
“Ne abbiamo già parlato…” provò a dire Galdino arretrando.
Ma Turibio, ormai fuori controllo, neanche lo lasciò finire: in un lampo gli fu addosso e con un pugno, che aveva grande quanto un maglio, gli sferrò un colpo in piena faccia facendolo volare a terra. Alla vista dell’amico riverso sul rivolo di scolo, di colpo la rabbia venne meno e Turibio tornò in sè.
“Mio Dio, che ho fatto?” esclamò con le mani nei capelli “Galdino, amico mio, perdona questo mentecatto… non so che mi abbia preso, non ero io quello che in preda a un furore cieco ti ha messo le mani addosso…”
Galdino grugnì qualcosa e sputando sangue si mise seduto, mentre Turibio, vedendo la sua faccia tumefatta, si accorse che aveva un ché di storto. “Amico mio, credo di averti rotto il naso. Vieni, ti porto a casa, bisogna metterci subito del ghiaccio… ”
E un’altra, sempre della stessa mano ispirata:
Turibio, seduto davanti al camino guardava le lingue di
fuoco salire alte e poi sparire nel nero della cappa. Era una fiamma vigorosa e
guizzante, e sembrava aver la forza di ardere all’infinito.
“Il fuoco è come
l’amore, se non lo alimenti si spegne” pensava malinconico. Anche l’amore
per Pulcheria, che pure era stato vigoroso, avendo smesso lei di alimentarlo,
alla fine si era spento. Ma se Pulcheria rimaneva zoccola e Galdino un boia
traditore, Turibio già da tempo aveva smesso di sentirsi becco, aveva preso a
considerare la vicenda con distacco, e con gioia aveva sostituito i piaceri
terreni con piaceri più nobili. Dopo una giornata spesa a forgiare
alabarde nella sua bottega, Turibio passava le sue sere in compagnia dei
libri, che ormai numerosi alloggiavano nella libreria accanto al camino…
Certo, nell’originale non era Turibio, e non forgiava
nemmeno alabarde, ma il contesto era quello e le circostanze erano analoghe, con
tanto di ghiaccio a disposizione e libri sugli scaffali della libreria.
E allora? Allora si ringrazia l’autore sconosciuto e si fa
qualche considerazione, tutto lì.
Quando si scrive del futuro, beh, liberi tutti: se ci va di
ambientare la storia in un ipotetico anno 3097 (meglio andare un po’ in là con
gli anni, esagerare, assicurarsi che non ci possano essere sopravvissuti pronti
a smentirci o etichettare il nostro romanzo come superato… ricordiamoci che si
può chiudere un occhio su una sola Odissea nello spazio), nessuno starà a
contestare l’uso della propulsione stratacoica o del teletrasporto a
polimerizzazione ionomerica, e se vogliamo mettere grosse scolopendre incazzose
a governare il pianeta, nessuno avrà niente da dire.
Scrivere del passato invece richiede un minimo di sforzo in
più, un piccolo sforzo di logica per far quadrare il tutto, un minimo di
coerenza tra il dire e il fare, tra il dire ghiaccio e accorgersi di non averlo
in casa (così come i piselli surgelati, altrettanto validi in caso di
contusioni), tra il dire libro e accorgersi che la stampa non è ancora stata
inventata. E Billy dell’Ikea? Neanche.
Al di là di queste osservazioni, sappiamo tutti che scrivere
è catartico, che è meglio di una seduta di analisi e che l’importante è dar
libero sfogo all’artista che c’è in noi… ma se centinaia di queste perle
transitano ogni giorno sulle scrivanie degli addetti ai lavori e non vanno
oltre, vorrà dire qualcosa…
Alla prossima
Martin Weasel
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