Che si festeggia a novembre?
A novembre non si festeggia, si commemora.
I santi, i morti, le forze armate, la vittoria di una
guerra di trincea ricordata più per la trincea che per la vittoria.
Mese di cimiteri e lumini rossi.
E allora fatemelo dire, io di alcuni cimiteri subisco il
fascino.
Non quello solenne dei monumentali: quello incerto dei
cimiteri un po’ dismessi, pieni di angoli dimenticati. Certi cimiteri di
mezzacosta, appena fuori da un paese da cui la gente se n’è andata da tempo.
Quei cimiteri dove il muschio cresce sulla pietra vecchia e
lapidi che non hanno foto stanno vicino a statue di gesso cariato…
Romantico come Lord Byron, direte voi…
Soltanto un po’, in genere non indulgo, però questa volta
lasciatemi proseguire ancora per un breve tratto su questa strada. È
novembre. Voglio farlo in compagnia di due personaggi usciti dalla scena di un
romanzo.
Tra poco ne esce il seguito, leggete questo estratto.
Le Ombre azzurre ha un seguito: Abel, di prossima uscita.
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Lei
rimase un po’ sorpresa dell’iniziativa del sagrestano. Prima di allora lui non le
aveva mai rivolto la parola se non per un saluto impacciato. Finita la
funzione, comunque, attese seduta al suo posto, fino a che non se lo vide venire
incontro, ancora con la cotta addosso.
Quando
le fu di fronte, lui prima si passò una mano sulla la testa, imbarazzato, poi
abbassò lo sguardo a terra, e nel suo italiano stentato le disse: «Devo farle
vedere una roba al cimitero.»
«Al
cimitero?» fece lei.
«Sì.»
E prendendo fiato, e coraggio, aggiunse: «Ieri c’è stato il funerale della
Lucia, quella che le mancavano due mesi a fare cent’anni, e io portavo la
croce. Quando è finito sono andati via tutti, ma mentre chiudevo la cappella,
ho visto la Canossi. Era su, nella parte degli angeli, inginocchiata per terra.
E non so… ma devo farle vedere, io devo portarla a vedere…»
A
quel punto era un po’ agitato, e lei cercò di rassicurarlo: «Va bene, va bene,
andremo insieme, andiamo subito se vuoi.»
«Ma
forse mi sono ho sbagliato…»
«Stai
tranquillo, andiamo, fammi vedere, ma prima vatti a mettere qualcosa addosso,
io ti aspetto qui.»
Dieci
minuti più tardi, il Tarcisio e la Cornacchia, una coppia ben strana a vedersi,
lei alta e dritta, con un cappotto a quadri, lui piccolo e storto, con solo un
berretto e una giacchina dal bavero rialzato a ripararsi dal freddo, si
allontanavano insieme, a passo disuguale, sullo stradone che portava al
cimitero.
Durante
il percorso, per metterlo a suo agio, la Cornacchia gli chiese della sua salute e dei suoi
gatti, e lui rispose che stavano tutti bene, e che il maresciallo, che era
stato così gentile con loro, ogni tanto passava a trovarlo e si fermava a
parlare un po’ con lui.
Era
una giornata rigida, cominciava a nevischiare, e quando arrivarono al cimitero
il Tarcisio era intirizzito.
Nel
salire la scalinata in pietra che portava al cancello, la Cornacchia dovette
adeguare il suo passo a quello del Tarcisio, e poco mancò che non allungasse il
braccio per sorreggerlo, ma riuscì a
trattenersi, e lui, lento ma tenace, con la cadenza che in fondo si
adattava a tutti funerali cui aveva partecipato, si arrampicò su fino
all’ultimo livello di quel cimitero in salita, fino alla parte che aveva chiamato “degli angeli”.
Uno scampolo di terra. La zona
destinata alla sepoltura dei bambini.
Angioletti
di gesso spuntavano dall’erba, alternandosi a umili cippi.
Tra
questi, alcuni erano spogli, con incise date ormai lontane, altri portavano i
segni di cure costanti, fiori freschi e lumini accesi.
Tarcisio si fermò davanti a un
semplice cippo che era stato pulito da poco. Sulla terra nuda era appoggiato un
vaso di ciclamini.
«Era qui inginocchiata che
sfregava» disse.
Sulla lapide era inciso un nome,
e due date:
Gabriele
Canossi
N 26/3/1955
M 26/3/1955
Piccoli
grumi di ghiaccio cadevano sulla tomba, con un rumore sottile.
«Io
non so mica, io non so mica...» continuava a ripetere Tarcisio.
La
Cornacchia
annuiva lentamente col capo. Aveva capito tutto.
Restò
per un po’ a guardare la terra gelata, mentre il nevischio le pungeva la faccia.
Poi
batté una mano sulla spalla del Tarcisio e gli disse: «Andiamo che prendi
freddo.»
Lui la
guardò confuso, forse persuaso che portarla fin lì a vedere una tomba fosse
stata una cosa stupida.
«Sei
stato grande» gli disse invece lei.
«Sei
stato davvero grande. » ripeté convinta.
E lui,
il freddo smise di sentirlo.
Tratto da Le Ombre azzurre
Guardate il booktrailer:
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