Scrivete quello che volete ma datemi una
storia in cui infilarmi e passare parte del mio tempo, è questo che cerco.
Quando lo trovo, e non solo, quando la storia mi rimane in testa a lungo dopo
che ho finito di leggerla, allora ne devo parlare.
Le Ombre Azzurre mi è piaciuto in modo
inaspettato, l’ho detto anche all’autore (sì lo so che sarebbe un’autrice, ma
la tipa è strana, ha personalità multiple e io non so bene con quale ho
parlato).
Con quel titolo in sordina è stato una
sorpresa che mi ha preso fin dall’attacco e ha continuato a farlo fino in
fondo, tenendomi agganciato con un’attrazione sottile.
Un romanzo non etichettabile, diverso da
tutti gli altri fantasy che (non) avevo letto prima, inconsueto e sorprendente nelle scelte, per clima e
ambientazione, ma dotato di un intreccio complesso, in cui per arrivare anche
solo al perché di quelle ombre azzurre bisogna aprire scatole che ne contengono
altre, e una volta arrivati si deve ricominciare.
Quali sono gli elementi che fanno intrigante
una storia? La tensione, il mistero, il colpo di scena, la rivelazione finale.
E la paura? Certo, anche la paura.
È proprio su quella che si apre il romanzo.
Sulla paura di un ragazzino che si sveglia per strada e non sa come ci sia
arrivato, che si gira attorno e non riconosce il posto, che si guarda e non
riconosce se stesso. Una paura che non passa, anzi si fa più grande quando
capisce che quel posto che non ha mai visto è il paese in cui vive, paura che
continua a crescere, quando scopre chi è e per cosa è conosciuto. È un bastardo
malvisto da tutti, un piccolo criminale, di quelli che la gente si aspetta che
da grande diventi un criminale vero. Lui non ricorda niente, eppure non ci
crede, non può essere così: lui è convinto di essere un altro e il tempo gli
darà ragione, ma solo per intricare di più il mistero, perché qui sono proprio
le regole del tempo ad essere sovvertite.
C’è uno scenario fatto di case e cortili,
di portici e piazzette, sagrati e campanili, a fare da sfondo a questa storia,
i contorni di un paese tranquillo dove però stanno succedendo cose strane,
brutte cose, che per qualcuno hanno a che fare proprio col ragazzino e con una
vecchia storia dai risvolti oscuri.
C’è la serenità disarmante di scene che
rievocano il buono della nostra l’infanzia, e poi c’è l’inimmaginabile che sta
dietro il sipario, ci sono figure che avrei voluto conoscere da bambino e ci
sono anime nere.
Ho letto il libro con la fretta di
arrivare in fondo ma allo stesso
tempo avrei voluto non arrivarci e farlo durare ancora, perché quello che mi ha
agganciato non è stato solo il dipanarsi dell’intreccio prima della
rivelazione. È stato essere lì.
Io ci sono stato in quel paese, nelle
cucine di quelle case, ho visto il sagrestano sghembo spazzare via il riso dal
sagrato e i ragazzini andare a scuola prendendo il ponte della ferrovia.
Facevo a palle di neve con lui, col
protagonista, quando tutto, di colpo, gli è tornato in mente.
Sarà quel passato ancora recente ma che
sembra lontanissimo, o quel futuro che è il nostro presente, e che allora
sembrava fantascienza, ma l’atmosfera mi ha preso e mi è rimasta in testa, come
certi sogni che per un po’ non riesci a levarti di dosso. Mi ha lasciato la
suggestione delle cose che a dispetto di tutto, parlano alla parte di te che
non è mai cresciuta.
Ecco, se pensate che almeno una parte di
voi non è ancora diventata grande e probabilmente non lo diventerà mai, e se avete la certezza che almeno lei si
salverà dall’invecchiare, allora questo romanzo fa per voi. Ci sono pagine che
vi faranno sentire bene.
Un bene piccolo, intendiamoci.
Come vedere un papavero che spunta da un tombino.
Martin Weasel
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